Guidati dall’estroso Garm, anche negli Arcturus e nei Borknagar, nel corso degli anni Novanta gli Ulver sono stati fra le band fondamentali del black metal norvegese. Eppure, già ai tempi, decisamente più eclettici rispetto alla media. Dopo l’esordio “Bergtatt” (1995), diviso equamente fra metallo nero e folk scandinavo tradizionale, ecco arrivare “Kveldssanger” (1996), interamente acustico, subito smentito dal black violentissimo e primordiale di “Nattens Madrigal” (1997). Il doppio cd “Themes from William Blake’s The Marriage of Heaven and Hell” (1998) è il classico lavoro interlocutorio. Poi c’è “Perdition City“, capolavoro di rarefazioni elettroniche, trip hop plumbeo, ambient ghiacciata e stacchi avant-garde da mozzare il fiato (c’è il jazz e la musica classica). Il sottotitolo recita “musica per un film interiore”, e gli squarci di emotività terminale (cfr. il finale di “Lost In Moments”) indicano proprio questo: una pellicola in cui trama e contenuti visivi sono decisi dalla condizione esistenziale dello spettatore/ascoltatore. Un’opera di algida e spietata bellezza.
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