La scena post-hardcore londinese, specie nei primi Duemila, ha sparso germi a non finire. Usciti rapidamente da un anonimato più o meno totale, gli Young Guns furono tra le band più interessanti nate sul finire degli anni Dieci, avendo attirato l’attenzione di un certo Dan Weller, chitarrista dei seminali SikTh e produttore in pesante crescita in quel periodo (sarà di lì a breve dietro ai dischi più importanti degli Enter Shikari e, più recentemente, a quelli dei Bury Tomorrow).
L’EP d’esordio “Mirrors” conteneva già le coordinate di un sound in perfetto equilibrio tra alternative rock e hardcore melodico sapientemente levigato per affascinare un pubblico giovane e amante delle frangette.
Con “All Our Kings Are Dead” viene ulteriormente approfondito questo aspetto, bilanciando aggressione e velocità (cfr. opener e “D.O.A.”) con ricercatezze alla Thirty Seconds To Mars (“After The War”) e soluzioni più attuali e sognanti (come “Meter & Verse”) che saranno sviluppate maggiormente nel successivo “Bones”.
Ci sono ovviamente le hit da far uscire di testa i rockettari di nuova generazione, vere e proprie minelle up-tempo come “Crystal Clear” e la già conosciuta “Weight of The World”, fino a “Elements”, che da lontano può ricordare le strutture progressive più moderne e metallizzate.
Gli ultimi pezzi del disco sono probabilmente ancora superiori ai buonissimi brani che li precedono: “Endless Grey” sprizza alt-metal da ogni poro, un’accelerazione con chorus assassino di stampo hardcore melodico e un bel breakdown quasi djent nel finale, una traccia assurda in sintesi che richiama in qualche modo le stupende “There Will Be Rain” e “In The Night” di “Mirrors”.
Si va ancora più in alto con “At the Gates”, pezzo cadenzato ed epico che sfocia in un altro ritornello pazzesco per intensità. Se ancora tutto questo non bastasse, ecco servita in coda “Beneath The Waves”, che oltre a riassumere tutto ciò che abbiamo sentito fino a questo momento, aggiunge una componente puramente hardcore inaspettata (vorrei dire sludge ma poi i puristi mi ucciderebbero) che protrae in maniera monolitica il brano fino alla sua conclusione.
Nella versione internazionale di “All Our Kings Are Dead” tra l’altro, trova spazio anche l’intero EP “Mirrors”. Meglio di così…
In tutto questo la preparazione tecnica dei Nostri è elevatissima, mentre la voce di Gustav Wood riesce realmente a fare la differenza, dando un tocco british raramente così perfetto per composizioni decisamente rumorose.
Per quanto negli album successivi i Nostri sperimenteranno altre strade sonore con fortune alterne, questo rimane ancora oggi un lavoro straordinario, anche per le implicazioni (più o meno dirette) che avrà nell’evoluzione del sound di band UK più recenti, i cui echi possiamo ad esempio trovare oggi anche in alcune scelte dei validissimi Boston Manor di “Glue“.
Qui tutti i pezzi dedicati agli Young Guns usciti nel corso degli anni sul nostro network.