Una specie di contrappunto emotivo, il terzo album dei newyorkesi Vampire Weekend. Da un lato la musica si mostra accogliente, calda e sinuosa, perseguendo traiettorie di rock indipendente anni Novanta e U2 clonati nel 21esimo secolo, afrobeat sfiorato in sogno, Paul Simon e Peter Gabriel, Talking Heads spesso e volentieri immersi in atmosfere romantiche punteggiate di fiati e tastiere, ritmi caraibici a metà strada fra Cuba e Giamaica, wave e world music, ancora Soweto e un po’ d’elettronica ingenua. Dall’altro, però, ci sono i testi. Difficili, spesso pessimisti, quasi ermetici, in continuo conflitto con la vita e il peso dell’esistenza, non privi di riflessioni sulla morte e sullo sfacelo del pubblico e del privato. “Modern Vampires Of The City” è quindi un disco impegnativo, più di quanto possa apparire ad un primo ascolto. Ma è una grande opera, in cui il sound di Ezra Koenig e soci continua a farsi sempre più personale, difficilmente accostabile a quello che è venuto prima di loro. Una riconoscibilità di cifra stilistica che, in un periodo di revival scontati e stantii, è in grado di fornire una marcia in più al quartetto statunitense. Il melting – pot stilistico è talmente sfacciato da poter risultare disturbante alle volte, ma i Vampire Weekend sono fra i pochissimi artisti maiuscoli sfornati dall’indie rock negli ultimi anni.
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