Nico se n’è andata e Andy Warhol ha lasciato i Velvet Undergound al loro destino. Sempre più cupo e isolato. Da tutti, da tutto. Soprattutto dalla musica circostante, che sì inizia ad essere un po’ più dura e un po’ meno ottimista, ma che rimane lontanissima dagli abissi metropolitani in cui si dibattono Lou Reed, John Cale, Sterling Morrison e Maureen Tucker. “White Light/White Heat” è il noise prima del noise, il punk prima del punk, l’industrial prima dell’industrial, il dark prima del dark. La copertina totalmente nera con teschio in controluce è persino allegra rispetto al contenuto sonoro e lirico (cfr. i testi di “Lady Godiva’s Operation” e “Sister Ray”, oppure lo humor nerissimo della narrazione di “The Gift”) dell’album. È soprattutto a causa dei 17 minuti di dolore atroce di “Sister Ray” che questo spaventoso oggetto, solo per pigrizia chiamato disco, passa alla storia. 17 minuti di riff e feedback ossessivi delle chitarre di Reed e Morrison, che deturpano il vertiginoso e straniante fraseggio all’organo di Cale (amplificato da un distorsore per chitarra), le accelerazioni anfetaminiche della batteria maltrattata dalla Tucker e il canto demente dello stesso Reed. Su questa improvvisazione ulcerosa i Sonic Youth (e moltissimi altri) ci costruiranno un’intera carriera.
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