Con il terzo album, Capossela s’impone definitivamente fra i cantautori italiani più interessanti e personali degli ultimi vent’anni. La sua musica viene spesso riassunta con l’espressione “Tom Waits incontra Paolo Conte“. Certo, i due modelli sono evidenti: a Vinicio piacciono jazz, blues e aeree melodie per voce e pianoforte. Ma è innegabile pure un tocco assolutamente inedito che tramuta tali riferimenti in qualcos’altro: nato ad Hannover ma originario dell’Irpinia, l’artista introduce fortissime influenze mediterranee nelle sue canzoni, ora febbrili (la title – track, esagitata fusion fra rock e tarantella in cui risulta fondamentale il contributo di Alfio Antico a tammorre e sonagli, o la rapidissima “Contrada Chiavicone”) ora malinconiche come solo una certa sensibilità del Sud Italia sa tratteggiare (“Morna” e “Tanco del Murazzo”), e ancora ironiche (“Il corvo torvo”), festose (“Al veglione”) oppure cinicamente sarcastiche (“Accolita di rancorosi”). Aggiungete a tutto questo episodi funk (“La notte se n’è andata”) e in levare (“Body Guard”) e avrete un lavoro unico e preziosissimo. La presenza di Marc Ribot (già con Tom Waits) alla chitarra e testi fulminanti nel narrare micromondi di frontiera fanno de “Il ballo di San Vito” una pietra miliare del cantautorato degli anni Novanta.
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