Il titolo si riferisce al numero dei concerti che i Wire avevano tenuto fino agli inizi delle registrazioni del disco. Qua si compie la definitiva mutazione del quartetto, da act punk a esploratore del suono a tutto tondo. Ancora oggi è difficile descrivere “154“, luogo in cui s’incontrano gli sperimentalismi del precedente “Chairs Missing” (1978) con un gusto per la melodia tipico del pop e la volontà di trasformare quest’ultimo in una sostanza volatile, che può cullare e un attimo dopo virare verso accordi densi d’inquietudine e atmosfere a tinte dark. Aiuta nel compito anche la rinnovata tavolozza timbrica, che comprende flauto, viola elettrica e corno inglese. “The 15th” e “The Other Window” sono brani storici, ma il vertice è probabilmente l’apripista “I Should Have Known Better”, neppure quattro minuti in cui è sintetizzato gran parte del miglior post – punk. Un album irripetibile. Lo capiscono anche i Wire, che si sciolgono subito dopo la sua pubblicazione.
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