I migliori dischi del 1992

È un anno terribile a livello di cronaca e società: le stragi di Capaci e via D’Amelio unite all’avvio di Tangentopoli, la soppressione della Scala Mobile e il prelievo forzoso sui conti correnti bancari svegliano il popolo italiano direttamente all’interno di un incubo orrendo.

A dir la verità ci riaddormenteremo presto, per ritrovarci nel 2011/12 con i cocci di quella ipotetica Seconda Repubblica che nascerà nel 1993.

Eppure ai tempi sembrava che il 1992, nonostante (o forse proprio per questo) le tragedie di cui si era fatto portatore, potesse segnare un punto di svolta nella vita politica, sociale ed economica dell’Italia, e che l’arrivo di una nuova era più luminosa fosse possibile. Intanto anche il resto del mondo è preda di scontri sempre più violenti: con l’assedio di Sarajevo si apre la fase più distruttiva della guerra nella vicina ex Jugoslavia, mentre in Somalia parte la cosiddetta “Operazione Restore Hope”.

In ambito puramente politico, Bill Clinton è eletto Presidente degli Stati Uniti, primo democratico dopo 12 anni di dominio repubblicano.

Tornando in Italia e passando alla musica, gli shock nazionali arrivano soprattutto dalla Martini, seconda a Sanremo con “Gli Uomini Non Cambiano”; vince Barbarossa con “Portami a ballare”, ma non se ne accorge nessuno vista la portata del pezzo di Mia.

Jovanotti e Zucchero danno una svolta importante alle loro carriere cambiando sound e il ciclone 883 si impone all’attenzione generale; ma è anche l’anno in cui vengono pubblicati “Lindbergh”, il capolavoro di Ivano Fossati, e l’epocale “Italyan, Rum Casusu Cikti” degli Elio e le Storie Tese.

Passando al mainstream internazionale, con il debutto dei Take That inizia l’epoca d’oro delle boy band, gli Snap scuotono le fondamenta della dance con “Rhythm Is a Dancer”, il singolo “Plastic Dream” di Jaydee diventa un classico dell’house music e le 4 Non Blondes, con il brano “What’s Up”, si segnalano quale tipico caso di band da “one hit wonder”.

Nel medesimo ambito si registra anche il clamoroso successo della colonna sonora di “The Bodyguard”, che proietta Whitney Houston nell’empireo delle più grandi popstar di sempre, l’ottimo debutto solista di Annie Lennox e una zozzissima Madonna che pubblica “Erotica”, il suo album più sottovalutato.

Le cose più interessanti dell’anno provengono però dalla musica pesa, che grazie al grunge sfonda pure nel mainstream: in questo genere i più grandi successi vengono realizzati dagli Alice In Chains con “Dirt” e dagli Stone Temple Pilots con “Core”, che sbaragliano la concorrenza.

Ma il ciclone post “Nevermind” non si esaurisce solo all’interno dello stile strettamente d’appartenenza, anzi si estende al di sopra di tutto il movimento alternative rock: solo così un disco di violentissimo industrial metal come “Psalm 69” dei Ministry può raggiungere il disco di platino, e artisti come Faith No More, Pavement e Rollins Band ottenere grossa visibilità.

Di questo clamore ne beneficiano anche i Rage Against The Machine, il cui omonimo debutto farà da battistrada per moltissimo crossover a venire e risulterà influente persino per il nu metal.

E allora passando al metal vero e proprio si deve ribadire che, Pantera a parte (che con “Vulgar Display Of Power” piazzano il loro colpo migliore, e non dimentichiamo i Megadeth ancora vivi e vegeti con “Countdown To Extinction”), è vero che in piena smania grunge è stato cancellato quasi totalmente dai piani alti delle classifiche; ma è altrettanto inoppugnabile che non è affatto morto, anzi rinserrandosi nell’underground ha trovato nuovi stimoli: infatti il 1992 per quanto riguarda il death regala uno dei capitoli migliori dei Cannibal Corpse, mentre i Darkthrone con “A Blaze In The Northern Sky” sdoganano il black metal norvegese (ma nello stesso filone escono pure i debut album di Burzum e Immortal).

Si potrebbero citare altre decine di dischi importanti di tali sottogeneri, a dimostrazione che non tutto è perduto, anzi (e con l’esordio dei Fear Factory l’industrial trova nuovi paladini d’affiancare ai Ministry). Con i Kyuss di “Blues For The Red Sun” nasce anche lo stoner, ma per ora nessuno se ne accorge.

Infine, la scena rap statunitense dà il benvenuto a uno dei suoi artisti più rappresentativi: Dr. Dre debutta con un album colossale per la West Coast e per l’hip hop in generale. Anche i Beastie Boys (con i continui sperimentalismi) e i Public Enemy (con la prima compilation) dominano il mercato musicale. In Italia prosegue la produzione del rap politico dei centri sociali.