Il 2013 verrà ricordato come “l’anno dei due papi“. L’11 febbraio papa Benedetto XVI annuncia le sue dimissioni, primo pontefice ad abdicare dai tempi di Gregorio XII, che rinunciò al ministero petrino il 4 luglio del 1415. Nell’intera storia della Chiesa Cattolica, solo otto pontefici hanno rinunciato alla loro carica; si tratta, quindi, di un caso clamoroso, che in età moderna non vanta precedenti. Joseph Ratzinger manterrà il titolo di Pontefice Emerito, mentre al suo posto il Conclave eleggerà il cardinale argentino Jorge Mario Bergoglio, primo papa ad assumere il nome di Francesco.
L’anno si chiude con un evento non meno significativo: il 5 dicembre muore Nelson Mandela, ex presidente del Sudafrica, ex rivoluzionario anti Apartheid e ultimo dei grandi statisti del Novecento, probabilmente il più grande di tutti. Fu in grado di pacificare la sua nazione dopo l’abolizione della segregazione razziale, scongiurando una probabile e sanguinosa guerra civile. Conflitti di questo tipo non mancano nel 2013, come dimostra il caso della Siria, in cui il grado di efferatezza raggiunto dagli scontri fra ribelli e governativi è elevatissimo e, a ben guardare, neppure troppo seguito dai media.
Si segnala anche il colpo di stato in Egitto, in cui la Guardia Repubblicana mette a tacere con l’utilizzo delle armi i Fratelli Musulmani: la guerra civile siriana e il golpe egiziano mettono in risalto le gravi contraddizioni scaturite dai movimenti rivoluzionari sorti in Nordafrica e in Medioriente a cavallo fra il 2010 e il 2011, riassunti nell’espressione “Primavera Araba”.
Sono 12 mesi agitati anche per l’Italia, sebbene in questo caso (per fortuna) non si parli di fatti di sangue, quanto piuttosto di una situazione politica intricatissima e, per molti aspetti, agonizzante. Le elezioni politiche di febbraio, anche per colpa della famigerata legge elettorale conosciuta come “porcellum”, non delineano nessun chiaro vincitore: PD, PDL e il Movimento 5 Stelle di Grillo, la grande novità di questa stagione politica, ottengono percentuali molto simili, lasciando il parlamento in una sorta di stallo messicano.
Viene formato, per volontà del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, nel frattempo primo capo di stato italiano a venir rieletto per un secondo settennato (non esattamente un segnale molto incoraggiante per la democrazia), un governo di larghe intese formato da PD, PDL e Scelta Civica, che rischia di cadere quando Silvio Berlusconi viene condannato in via definitiva per frode fiscale e successivamente è approvata la sua decadenza da senatore. Novembre e dicembre portano quindi all’apparente conclusione del “ventennio berlusconiano” (intanto Silvio esce dal governo e rifonda Forza Italia) e all’elezione di Matteo Renzi come nuovo segretario del Partito Democratico.
La musica leggera italiana registra la vittoria sanremese di Marco Mengoni con il brano “L’essenziale”, mentre il clamoroso pezzo di Elio e le Storie Tese, “La canzone mononota”, arriva secondo; viene così sancita ancora una volta la preminenza dei talent show.
Nel corso dell’anno, il pop italiano è dominato dal fenomeno dei “ritorni“: vecchie glorie della canzonetta melodica o del cantautorato ridiscendono in campo; alcune, come Vecchioni o Morandi, in realtà non l’hanno mai abbandonato, mentre altre come Rita Pavone o Raffaella Carrà sono protagoniste di clamorose rentrée.
È anche un buon anno per Max Pezzali, con la sua release – nostalgia “Max 20”, mentre fra i giovani spiccano le affermazioni di Emma Marrone e Modà; infine l’inossidabile Ligabue domina le classifiche di fine anno con il nuovo album d’inediti “Mondovisione”. Dall’underground emergono definitivamente i Calibro 35, ma in generale il rock indipendente italiano continua a sfornare buone cose, dalla psichedelia di Julie’s Haircut all’hardcore evoluto di Marnero, passando per il pazzesco mix elettronico di The Bloody Beetroots.
Un capitolo a parte, e molto più dettagliato, merita il rap italiano, ormai un fenomeno dalle vendite e dalla visibilità enorme. È l’anno di Moreno, primo prodotto rap uscito dalla fabbrica dei talent show. È l’anno di Fedez, giovane delle rime con uno spiccato interesse per il ritornello pop e le liriche leggere. È l’anno di Emis Killa, altro coetaneo esploso sul web e ora capace di tenere in pugno il mercato discografico.
Sono i tre volti, classe ’89, del rap italiano moderno. Hanno il merito di aver conquistato le nuove generazioni e di aver concesso enorme visibilità a un genere che, in questo Paese, faticava ad emergere. Non sono, ovviamente, gli unici artefici di tale successo. Seguono i leader delle label indipendenti e dei collettivi più in voga (vedi Salmo, Clementino, Ghemon e Mecna). Chiudono i big come Club Dogo (anche in vesti soliste), Fabri Fibra o Dargen D’Amico, impegnati a sfornare un singolo dietro l’altro sfruttando il terreno fertile, ma rinunciando, spesso e volentieri, alla qualità.
Esiste poi una rappresentanza underground fitta e variegata che prende le distanze dal gruppetto di artisti in prima fila portando avanti i propri valori e ottenendo un buon numero di ascolti e/o views grazie allo stesso contesto favorevole. Insomma, è l’anno del rap italiano, degli haters, dei live gonfi di pubblico, dei dischi stravenduti, delle contaminazioni, delle rime in TV (anche improvvisate), e di J-Ax che, dopo un’intensa stagione di featuring, annuncia la sua partecipazione all’edizione 2014 di “The Voice of Italy” nel ruolo di coach e al posto di Riccardo Cocciante.
Il fenomeno è in continua espansione e non intende arrestarsi. L’interesse del pubblico cresce in proporzione all’offerta. Cosa c’è di buono? Che il rap, oggi, non è soltanto oggetto di consumo, ma può essere finalmente conosciuto ed esplorato. Superati i volti da copertina e le hit radiofoniche, gli utenti più curiosi avranno l’opportunità di scoprire cosa si muove all’interno di un genere musicalmente ricco, con una propria identità e che non sempre fa il verso ai mostri sacri d’oltreoceano.
Una postilla va pure dedicata al cosiddetto “Lol Rap“, di qualità bassissima, ma volutamente cazzone e ideale per farsi quattro risate: Truce Baldazzi, probabilmente involontariamente, ha tracciato la strada, e ora il re di questa roba è indubbiamente Bello Figo Gu/Bello Guccieii, guardatevi i suoi video su YouTube. A proposito di YouTube, il popolarissimo servizio di video sharing, celebra nel 2013 la prima edizione dei propri Awards…segno dei tempi verrebbe da dire, tempi che glorificano lo streaming (leggere alla voce Deezer e Spotify) e affossano sempre di più il mercato di cd fisici…
Sempre più ostaggio del puro entertainment è il pop internazionale: oltre al fenomeno dei One Direction (ma alla fine le teen band esistono da decenni), il 2013 vede un profluvio di dischi usa e getta uscire dalle major; fra tutti, si segnala “Bangerz” di Miley Cyrus, fenomeno di “trasgressione” costruita a tavolino dal music biz (vedere anche alla voce twerking con Robin Thicke, altro protagonista del 2013 nel pop stra-easy con “Blurred Lines”).
C’è ancora del pop di qualità, a cercar bene: il nuovo di Justin Timberlake non è male, e al netto della clonazione di Michael Jackson anche Bruno Mars (che ristampa in continuazione nuove versioni europee deluxe del nuovo album uscito a fine 2012) si difende abbastanza bene. Il rock può gioire del ritorno di David Bowie con “The Next Day”, l’hip hop accoglie la resurrezione di Eminem con un’opera clamorosa, anche se il nuovo nome del genere è Macklemore.
Il mondo dell’indie, seppure ormai quasi giunto alla saturazione, ha ancora alcune cartucce da sparare (vedi Foals, Vampire Weekend, The National, Arctic Monkeys, i giovanissimi Bastille e Lorde, oltre all’inaspettato ritorno dei My Bloody Valentine e alla ritrovata vena creativa dei Primal Scream), l’hard rock ha trovato negli Alter Bridge i suoi nuovi portavoce, Iggy ha ancora voglia di far casino insieme agli Stooges e, sul versante metal più o meno estremo, i ritorni di Black Sabbath e Carcass superano le aspettative di molti.
In verità, la musica pesante non presenta molte novità, anche se lavori come quelli di Protest The Hero e Deafheaven sanno dire qualcosa di originale; eppure non mancano gli album di qualità, come testimoniano vecchie glorie del thrash (Death Angel, Annihilator, e pure “Target Earth” dei Voivod è ottimo) e del black (Darkthrone).
L’amara conclusione è affidata ai necrologi: il 2 maggio la morte di Jeff Hanneman, storico chitarrista degli Slayer, getta nello sconforto migliaia di metallari (se ne va anche Clive Burr, storico drummer dei primi tre leggendari album degli Iron Maiden), mentre la scomparsa di Lou Reed, oltre a quella del titano ex Doors Ray Manzarek, sancisce la fine di un’era per l’intero mondo del rock. Dolorose anche le scomparse di Enzo Jannacci e Franco Califano, oltre a quelle di Chi Cheng (Deftones) e Richie Havens.