Premessa: nell’anno del Covid-19, non è certo nostra volontà semplificare le cose, ridurre una trattazione delicata a un lamento, piuttosto che addentrarci in questioni su cui non avremmo la minima competenza. Da sempre ci limitiamo a parlare di Musica su queste pagine. E faremo lo stesso anche in quest’ultimo articolo di Musicologia, parlando di come la Musica sia attualmente tra le realtà più devastate e a serio rischio estinzione. Per lo meno per come la conosciamo (e vogliamo continuare a conoscerla) noi di Musicologia / MusicAttitude / Outune.
A che serve ancora la Musica?
In un mondo dove la pandemia causata dal Covid-19 (con oltre 60 milioni di casi registrati e oltre 1 milione e mezzo di decessi) ha palesato l’inconsistenza di industrie dell’effimero e la totale non sostenibilità di settori produttivi costruiti su contraddizioni e apparenti necessità estemporanee, la cultura è quella che ha pagato il prezzo più alto.
Musica e concerti ridotti ad “artisti che ci fanno tanto ridere”, classifiche che proseguono nel certificare dischi d’oro streaming di brani identici, consumati online da milioni di persone (e bot) nella totale disaffezione e completa disattenzione nell’ascolto: il music business ha conosciuto il punto di non ritorno tante volte preconizzato da quei tromboni vecchi e inaciditi che ne prevedevano il collasso da già almeno un decennio, quando i talent governavano classifiche, scelte editoriali, produttive ed aziendali.
Pochi mesi indietro, nel 2019, diverse major festeggiavano il salvatore della patria (aka lo streaming), capace di garantire almeno un lustro di prosperità e innovazione. Sebbene sia indubbio come Spotify abbia mutato definitivamente l’ascolto, seppellendo sotto metri di cemento quella discografia che a Napster e iTunes aveva reagito con l’usa e getta trimestrale (semestrale/annuale nei casi migliori) dei già citati X Factor e Amici del caso, acuendo la fragilità di un mestiere (quello del musicista) decisamente complicato dal post Millennium Bug.
Quel Millennium Bug che non sarà arrivato alla mezzanotte del primo giorno del Duemila ma che, a conti fatti, si è silenziosamente circostanziato negli smartphone di nuova generazione e nei social network dagli anni Dieci in poi.
Ma non è questo il luogo dove discernere tale situazione. Siamo a parlare di un anno che rimarrà nella memoria del genere umano come quello in cui un virus diffusosi a velocità spaziale in tutto il mondo ha disintegrato certezze, abitudini, usanze e reso ancora una volta più evidente come l’umanità, dopo tutto, non sia poi così diversa quando le difficoltà bussano alla porta.
Nell’Annus horribilis 2020 i concerti sono spariti (eccezion fatta per qualche evento a numero limitato, distanziato e rigorosamente all’aperto), la filiera musicale è stata disintegrata, la discografia resiste (al momento) grazie agli stratagemmi in streaming di cui sopra, allo “smart” working e sussidi statali.
Una marea di artisti hanno deciso prima di rinviare le uscite, poi pubblicarle, piuttosto che rimaneggiarle o di rivederle completamente. O ancora pubblicare due o tre EP, singoli, fare dirette schizofreniche su Instagram o lanciarsi nel live streaming a pagamento, trasmettendo filmati già registrati.
Reazioni scomposte dettate da una disperazione di fondo, da una lancinante incertezza e dalla contorcente sensazione che – forse – l’aver dedicato l’esistenza a determinate arti, lavori e progetti potrebbe essere stato il più grande e irrimediabile errore di una marea di vite.
Come se la pandemia causata dal Covid-19, e le relative conseguenze economiche e sociali che ne deriveranno per molto tempo a venire non bastassero, la scomparsa di autentiche leggende dello strumento come Neal Peart, Andy Gill, Brian Howe, Frankie Banali ed Eddie Van Halen, hanno ulteriormente ingigantito la sofferenza di chi ha amato certe sonorità immortali.
Inoltre gli addii a personaggi globali e iconici come Sean Connery, Kobe Bryant e Diego Armando Maradona, i tumulti negli States in seguito all’uccisione di George Floyd durati bene o male fino all’elezione di Joe Biden come nuovo Presidente USA (si insedierà nel 2021), sono “solo” altri eventi nefasti che faranno rimanere nella memoria collettiva il 2020 come uno degli anni più simili a quelli in cui si combattevano le Guerre Mondiali.
Un vaccino o una qualche cura miracolosa potranno cercare di sistemare le cose nel giro di un paio d’anni, illudendoci che il mondo sia tornato quello di sempre e che, alla fine, i contratti a termine o le finte partita iva non erano poi così male.
Ma la ferita che tutti noi abbiamo subito (inclusa la perdita di affetti senza nemmeno poterli assistere nelle loro ultime ore), non si rimarginerà mai, nemmeno quando forse (tra 2 o 3 anni nel migliore dei casi) torneremo ad ammassarci per urlare sotto i palchi e a sperare che la qualità e la Musica fatta bene prima o poi tornerà realmente a svettare in cima alle classifiche.
Senza pandemia, il 2020 sarebbe probabilmente passato inosservato in una futura retrospettiva che ricercasse quegli album migliori o anche solo quegli episodi “commercialmente rilevanti” per una finalità enciclopedica.
La corsa ai numeri ad ogni costo di uno streaming che distribuisce dischi d’oro a prodotti immessi sul mercato in serie con nessuna finalità artistica, è solo uno degli elementi destabilizzanti per chi, come noi, ha da sempre cercato un equilibrio tra emissioni di qualità e fenomeni da classifica, per poter spiegare meglio non solo chi abbia inventato il rock, ma anche l’evoluzione della società, la nascita di movimenti, l’espansione della cultura, come modificare le preferenze degli ascoltatori rendendo di successo personaggi senza la minima qualità artistica e via discorrendo.
Negli ultimi anni tuttavia, questo sforzo ha lasciato progressivamente spazio a una disillusione non solo legata all’età anagrafica, ma anche a una realtà in cui l’ascolto e l’analisi dell’arte più popolare diffusa presso le masse, risultano oramai inevitabilmente esercizi di stile non richiesti e in più totalmente fini a se stessi.
Ricercare, inondati settimanalmente da migliaia di singoli, quell’episodio che potrà resistere alla prova del tempo e conquistare vecchi e nuovi appassionati di Musica, non è solamente inutile, ma è anche attività sfiancante e demotivante.
Molto meglio rassegnarsi nel constatare la fine di un’epoca solamente accelerata dalla terribile pandemia causata dal Covid-19, le cui conseguenze dai più non sono ancora state comprese e nemmeno immaginate.
Senza eventi dal vivo diventerà ancora più difficile per una marea di band non solo sostenere la propria attività, ma anche mantenere viva quella fiamma creativa che la Musica da sempre instilla in chi la sa accogliere non (solo) come riempitivo, ma soprattutto come elemento fondamentale della propria esistenza.
Con Musicologia abbiamo coperto bene o male quasi sessant’anni di storia musicale, dai Sessanta a questi anni Dieci del nuovo millennio. Possiamo ora ritirarci e lasciare spazio alla top 50 Viral di Spotify, che certamente saprà disegnare in modo più rapido ed efficace tutto ciò che meriterà menzioni a imperitura memoria dal 2021 in poi.
Nel giro di pochi anni monumenti come Michael Jackson e Led Zeppelin saranno sostituiti nelle classifiche generali di vendita da chi avrà totalizzato miliardi di streaming, grazie alla conversione (qualcosa tipo 1.300 ascolti online = 1 copia fisica venduta) che permette di annoverare un centinaio di dischi di platino a chi ha alle spalle un paio di album e cinque anni di carriera.
Il nostro database è già sufficientemente popolato da boy band e fenomeni da baraccone del passato (e ahinoi del presente), ai quali abbiamo sì dato spazio ma anche spiegato, in modo abbastanza evidente le motivazioni del loro successo (motivazioni che, ovviamente, avevano limitata attinenza alla Musica).
Ma ora è del tutto superfluo essere costretti a escludere una band indie o una rock band di valore per lasciare spazio al campione di vendite che non ha mai cantato una nota dal vivo. Sia perché non è minimamente in grado di farlo, sia perché non è minimamente necessario farlo, dato che di note in molta della Musica che furoreggia oggi nelle classifiche non c’è affatto traccia.
Chiudiamo con la certezza che sapere che, anche in questo disgraziato 2020, Artisti leggendari come Dylan e Springsteen abbiano ancora una volta voluto incidere nuove canzoni, sia tutto sommato un premio decisamente sufficiente per chi qualcosa di Musica ci capisce davvero.