Riassumere esaustivamente le radici della popular music degli ultimi cinquant’anni in appena una manciata di dischi è un’impresa impossibile. Per avere un quadro il più completo possibile del suono che originò la contemporaneità, sarebbe stato necessario segnalare centinaia di titoli, e probabilmente si sarebbe comunque lasciato fuori parecchio.
I pochi album che seguono hanno la modesta pretesa di tracciare a grandissime linee una mappa dei generi e degli artisti irrinunciabili da considerare se si vuole avere un’idea, anche minima, delle fonti d’ispirazione decisive per lo sviluppo del rock e del pop dei nostri giorni.
Siccome si è deciso di limitare il campo d’indagine a quella musica che oggi può esser considerata davvero popolare (i vari patrimoni folklorici sono stati presi in esame solo se hanno avuto un ruolo chiave in quest’evoluzione), l’esclusione della “musica colta” d’origine europea (quella che comunemente viene chiamata “classica“) è stata una scelta obbligatoria, anche perché, includendo pure le varie espressioni novecentesche di quest’ultima (dodecafonia, avanguardia, minimalismo, neoclassicismo, etc.), l’opera sarebbe risultata troppo dispersiva e la sua lunghezza avrebbe raggiunto dimensioni mostruose, enciclopediche, al di là delle nostre possibilità.
Sempre per lo stesso motivo, ossia privilegiare i fenomeni che hanno avuto maggior risonanza a livello di vendite o di costume (e questo non vuol dire escludere a priori le cose maggiormente interessanti prodotte dall’underground, anzi il bello del lavoro è stato anche disseppellire dall’oblio tesori poco conosciuti), gli artisti scelti per rappresentare la musica prima del 1962 sono tutti statunitensi, e fra essi la maggior parte è afroamericana.
Il motivo è semplicissimo: nella trattazione dei vari anni si è lasciato molto spazio ai musicisti italiani, ma la stragrande maggioranza di essi deve comunque molto alle soluzioni escogitate oltreoceano dagli inizi del Novecento sino agli anni Cinquanta (pensiamo a Lucio Battisti o Vasco Rossi, ma persino ai cantautori), mentre per quanto riguarda la “melodia italiana” si sarebbe resa necessaria una ulteriore digressione su opera e melodramma, col risultato di ricadere nel ‘ginepraio’ della classica.
È stato quindi naturale orientarsi verso i padri del blues e del jazz, i massimi esponenti del country e i primi grandi del rock and roll, citando giganti come Robert Johnson, John Lee Hooker, Muddy Waters, Duke Ellington, Louis Armstrong, Charlie Parker, e successivamente Elvis Presley, Chuck Berry, Jerry Lee Lewis e Johnny Cash.
Certo, negli ultimi decenni i vari patrimoni etnici hanno fatto il loro ingresso nel mercato globale della musica, prima con l’India di Ravi Shankar e successivamente con il resto dell’Asia, con l’Africa, l’America Latina e persino l’Oceania, ma è impossibile negare che il grosso del music biz sia tuttora dominato da cantanti e musicisti che hanno nel loro DNA il suono sviluppato nel corso di un secolo da artisti a stelle e strisce.